Concerti, Paul McCartney: la recensione dello show di Londra


A dirla tutta non so quasi come iniziare. Voglio dire, stiamo parlando di uno dei Beatles, la più grande band di sempre, non di uno qualunque: i Beatles, quelli più famosi di Gesù e via discorrendo. Ed io, “l’uno qualunque”, devo cercare di raccontare nella maniera più consona possibile il concerto di Paul McCartney ad Hyde Park. Che dire, ci si prova. Hyde Park registra un quasi tutto esaurito che tradotto in termini di presenze si aggira intorno alle centomila persone, forse anche di più, la mia è una stima ad occhio. E sempre ad occhio non posso far a meno di notare che c’è veramente di tutto: giovani, bambini, vecchi “mods” e hippie sgangherati. Il concerto di Macca a Londra è evidentemente un’attrattiva che supera ogni confine di razza, età e religione, è insomma una sorta di tappa fondamentale nella vita di chi della musica ha fatto il proprio mestiere, e più in generale uno stile di vita. Contrariamente ai Pearl Jam visti due giorni prima non conta tanto la posizione in platea per cercare di vivere meglio il concerto, quanto la presenza stessa ad un evento che nello spirito è già sufficientemente storico. L’apertura pomeridiana è affidata ad uno squadrone geriatrico che ha ancora un bel po’ da dire: Elvis Costello, i Crowded House e la terna Crosby, Still e Nash. Sano rock, a volte tirato un po’ per le lunghe, ma che conferma la vitalità della vecchia scuola, ancora inossidabile dopo decenni di concerti. Londra risponde con calore e partecipazione: la giornata è tersa, il sole splende come poche volte nella capitale inglese e non c’è una persona che non abbia un ricordo legato ad uno dei pezzi dei Beatles. Tanto basta a metterti di buon umore, pregando che così tante aspettative non portino poi ad una grande delusione. Rischio che ovviamente nessuno dei presenti ha corso nemmeno per un secondo, da quando Macca compare sul palco poco prima delle otto in tenuta nera “british style” da perfetto Sir qual’è. Poche parole all’inizio, si attacca subito con la musica e con una scaletta che prevede 38 (!) pezzi, un compendio ben strutturato della carriera di Sir Paul dai Beatles e Wings agli episodi solisti. Quasi tre ore di musica che l’uomo dalla faccia da ragazzo regge perfettamente, sfoderando una capacità di intrattenimento invidiabile (chi non vorrebbe avere aneddoti che parlano di Lennon o Jimi Hendrix?) e una tenuta musicale degna dei tempi d’oro. C’è tutto e anche di più. E fa decisamente una certa impressione vederlo sul palco, immensamente piccolo e reale. C’è uno dei Beatles che suona, eccolo li. “Hey jude” diventa un’esperienza tangibile, e così tutte le altre. E non è difficile immaginarsi davanti ad una pinta di birra tra qualche anno, attenti a non tralasciare ogni minimo dettaglio mentre cercheremo di raccontare di quella volta che abbiamo visto McCartney in concerto a Londra. Entrando poi nello specifico potrei dire che i rientri, come di consueto, sono stati due. Che la prima parte ha necessitato di un attimo per ingranare, forse perchè tutti avevano una gran voglia di Beatles e solo di Beatles. Che è un po’ il rischio che si corre contro questi mostri sacri, ovvero cadere nella tentazione di tralasciare il meno noto, benchè validissimo, per l’ingordigià del momento clou. Momento clou che nello specifico dura circa due orette e mezza e che annovera capolavori come “Blackbird”, “Ob-La-Di, Ob-La-Da”, “Back in the U.S.S.R.”, “I’ve Got a Feeling”, ”Paperback Writer”, “A Day in the Life / Give Peace A Chance”, “Let It Be”, “Live and Let Die”, “Hey Jude”, “Day Tripper”, “Lady Madonna”, “Get Back”, “Yesterday”, “Helter Skelter” e “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (reprise) / The End” sparati in fila. Il racconto allora non può essere obiettivo, perchè come ho già detto, tutti hanno nel cuore i Beatles e vedere un pezzo dei propri sogni prendere forma davanti a migliaia di persone che condividono lo stesso sentimento, beh, non ha davvero prezzo. Il concerto finisce poco prima delle undici dopo che tutti hanno dato tutto, sopra e sotto al palco. I Beatles sono e saranno sempre una leggenda. A noi semplici umani a volte è dato di farne parte almeno un po’. (Marco Jeannin)
Da www.rockol.it

Commenti

  1. la mia recensione del concerto londinese http://ossessionenopassione.blogspot.com/2010/07/il-mistero-di-paul-mccartney.html

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  2. grazie Marina...bella la tua testimonianza..
    Sei stata fortunata a poter essere là!

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  3. Complimenti per il blog. E' sempre bello trovare/conoscere persone tramite questo grande artista, un vero e proprio Maestro.

    se può interessarti qua c'è il mio post su quel concerto
    http://mattbrambillo.splinder.com/post/22944204/live-london

    e qua alcune foto fatte durante il concerto

    http://www.facebook.com/#!/album.php?aid=71708&id=1207400077

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  4. Grazie a te Matt, e a me fa piacere che ti piaccia!E grazie anche per il tuo post e le foto...preziosissime!Concordo sul "maestro"..anche se è sempre deduttivo, forse bisognerebbe chiamarlo "Dio"...;-))
    A presto...ciaooo
    Titti

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  5. ahah!
    io non lo chiamerei Dio, quel che mi è piaciuto di più, che più mi ha colpito di lui (era il mio primo concerto di Paul) è stata la sua semplicità, la sua voglia di divertirsi e di ridere e scherzare con le prime file per tutto il concerto. A differenza di tanti altri concerti ho trovato il suo spettacolo VERO, non costruito.

    Trovo che lui sia fantastico, letteralmente un personaggio (vorrei dire persona, ma ovviamente non posso) fantastico e soprattutto disponibile ed umile...

    http://mattbrambillo.splinder.com/post/23182252/true-story

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  6. Non posso che essere d'accordo..anche se non ho ancora avuto la fortuna di vederlo dal vivo! :-))

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