Dieci possibili eredi per un patrimonio musicale eterno...
Nel panorama musicale del Novecento i Beatles sono stati influenti più di ogni altro artista. Per comprenderlo basta scorrere rapidamente la lista degli interpreti dei generi più disparati che ne hanno rivisitato il repertorio: parliamo di alcune migliaia di nomi, molti dei quali di primissimo livello (da Frank Sinatra a Elvis Presley, da Stevie Wonder al bassista jazz Jaco Pastorius). Vogliamo isolare qui di seguito dieci band che non hanno mai fatto mistero di essere state influenzate dai Fab Four. Dieci possibili eredi per un patrimonio musicale eterno.
Crsby, Stills and Nash Tra i primi supergruppi della storia, Crosby, Stills e Nash provenivano da esperienze musicali affini a quella dei Fab Four: David Crosby era il chitarrista dei Byrds, la risposta californiana ai Beatles, Stephen Stills il leader dei Buffalo Springfield, che con i quattro di Liverpool avevano in comune l'irrequietezza compositiva, Graham Nash la marcia in più degli Hollies, cioè i Beatles di Manchester. Ritrovatisi insieme, come minimo dovevano tributare un omaggio al punto di riferimento costante delle loro rispettive produzioni. E così reinterpretarono la folksong «Blackbird», una delle gemme più lucenti del repertorio di McCartney. Versione da applausi.
XTC
In pieno punk, mentre i Clash si facevano beffe della beatlemania con «London Calling», in Inghilterra c'era anche chi eleggeva Lennon-McCartney a propri spiriti guida. Gli XTC, band indie rock dell'estrema provincia (venivano da Swindon, nel Wiltshire), coincidevano con l'estro del chitarrista Andy Partridge e del bassista Colin Moulding, due beatlesiani di ferro. Ci si mise pure la critica che li indicò subito come i nuovi Beatles, in virtù di un songwriting che di atmosfere degne dei Fab Four era impregnato. Il resto lo fece «Dear God», una lettera aperta al Padreterno meno sacrilega ma per certi versi affine a quella del primo album solista di Lennon. Purtroppo per loro, non erano i Beatles.
U2
Gli U2 rappresentano il bestseller rock degli anni Ottanta. Quando erano all'apice della loro carriera, e cioè dopo il fortunatissimo «The Joshua Tree», vollero sdebitarsi con una rock opera che omaggiava esplicitamente tutti i loro maestri. Stiamo parlando di «Rattle and hum», film più doppio disco per metà live e per metà inedito. L'opera si apriva, guarda caso, con la cover di «Helter Skelter», pezzo nel quale Paul McCartney alla fine degli anni Sessanta inventava il punk senza saperlo. Tenetevi forte ché dallo «scivolo» si scende giù veloci.
Tears for Fears
Inglesi, molto vicini alle atmosfere della New Wave, i Tears for Fears negli anni Ottanta facevano impazzire le ragazzine e torcere il naso ai rockettari più irriducibili. Nel songwriting del chitarrista-cantante Roland Orzabal e del bassista Curt Smith un pizzico di Beatles non è mai mancato. Lo testimonia bene il ritornello della hit «Sowing the seeds of love». E poi a Knebworth, nel concerto evento che si tenne nel '90 (tra l'altro in scaletta c'era pure Paul McCartney), omaggiarono esplicitamente i Fab Four con una cover di «All you need is love». Non proprio commovente, ma comunque onesta.
Oasis
Con loro entriamo in pieno Brit-pop, movimento in voga a partire dalla metà degli anni Novanta che dai Beatles e dal meraviglioso universo della Swinging London trae la propria linfa vitale. In quei giorni lì, i Fab Four tornano di moda e a un certo punto interviene proprio sir Paul McCartney, dichiarando gli Oasis eredi designati dei Beatles. Chissà cosa ne avrebbe pensato John. Fatto sta che i fratelli Gallagher non fanno economia di cover beatlesiane. «I'm the Walrus», brano psichedelico di John Lennon, è sicuramente una delle più riuscite.
Travis
Tra le avanguardie del rock scozzese sbocciato negli anni Novanta, i Travis amano molto le atmosfere British e di conseguenza i Beatles. Non è un caso se nel 2007, in occasione della ricorrenza del quarantennale di «Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band», siano stati tra i primi a essere invitati dalla Bbc a reinterpretare i classici del capolavoro beatlesiano. Invito azzeccato: i Travis ci hanno regalato infatti una buona versione di «Lovely Rita metermaid». Come? Rispettando la partitura originale neanche fosse musica classica.
Coldplay
Quando alla fine degli anni Novanta i Coldplay debuttano, qualcuno li definisce i nuovi U2. Forse potremmo utilizzare proprio questo anello di trasmissione per raccontare il rapporto con i Beatles di Chris Martin e company: l'approccio alla materia beatlesiana della band londinese sembra infatti mediato dalla lezione di Bono e The Edge. Per fare un esempio, in mano ai Coldplay l'evergreen di George Harrison «Here comes the sun» appare quasi un brano pop concepito nella Dublino degli anni Ottanta. Il che non equivale per forza a un complimento.
Franz Ferdinand
Scozzesi come Travis e Belle and Sebastian, i Franz Ferdinand rappresentano una delle migliori incarnazioni dello spirito rock nel Terzo millennio. Colti, raffinati e orecchiabili quanto basta per farsi valere nelle charts. Di sommo gusto la scelta della loro cover beatlesiana: «It won't be long», un brano non proprio conosciutissimo del secondo album dei Fab Four. In mano a loro si trasforma in pura provocazione punk. Complimenti.
Kaiser Chiefs
I Kaiser Chiefs provengono da Leeds e propongono una curiosa miscela di riff taglienti e trame melodiche orecchiabilissime. Per capire cosa suonano, fa fede la hit «Ruby» cui devono gran parte della loro fortuna. Anche loro quattro anni fa sono stati coinvolti nel progetto del remake di «Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band» voluto dalla Bbc per il quarantennale e se la sono cavata con la mccartneyana «Getting better». La loro versione mette ottimismo. Non quanto l'originale ma questo è un altro discorso.
The Unthanks
Le sorelle Rachel e Becky Unthank rappresentano la massima espressione del nuovo folk britannico. Provengono dalla provincia (dal Northumberland, per la precisione) come le migliori cose che utlimamente si ascoltano in Inghilterra e secondo la critica di madrepatria avranno un futuro radioso. Il loro omaggio ai Beatles passa per una commovente versione di «Sexy Sadie», il brano con il quale Lennon si sbarazzo del Maharishi. Un pezzo che, in mano a loro, acquista una delicatezza sottile e conturbante. Femminile, proprio come la seduttrice Sadie cantata da John.
Da IlSole 24 Ore.com
Crsby, Stills and Nash Tra i primi supergruppi della storia, Crosby, Stills e Nash provenivano da esperienze musicali affini a quella dei Fab Four: David Crosby era il chitarrista dei Byrds, la risposta californiana ai Beatles, Stephen Stills il leader dei Buffalo Springfield, che con i quattro di Liverpool avevano in comune l'irrequietezza compositiva, Graham Nash la marcia in più degli Hollies, cioè i Beatles di Manchester. Ritrovatisi insieme, come minimo dovevano tributare un omaggio al punto di riferimento costante delle loro rispettive produzioni. E così reinterpretarono la folksong «Blackbird», una delle gemme più lucenti del repertorio di McCartney. Versione da applausi.
XTC
In pieno punk, mentre i Clash si facevano beffe della beatlemania con «London Calling», in Inghilterra c'era anche chi eleggeva Lennon-McCartney a propri spiriti guida. Gli XTC, band indie rock dell'estrema provincia (venivano da Swindon, nel Wiltshire), coincidevano con l'estro del chitarrista Andy Partridge e del bassista Colin Moulding, due beatlesiani di ferro. Ci si mise pure la critica che li indicò subito come i nuovi Beatles, in virtù di un songwriting che di atmosfere degne dei Fab Four era impregnato. Il resto lo fece «Dear God», una lettera aperta al Padreterno meno sacrilega ma per certi versi affine a quella del primo album solista di Lennon. Purtroppo per loro, non erano i Beatles.
U2
Gli U2 rappresentano il bestseller rock degli anni Ottanta. Quando erano all'apice della loro carriera, e cioè dopo il fortunatissimo «The Joshua Tree», vollero sdebitarsi con una rock opera che omaggiava esplicitamente tutti i loro maestri. Stiamo parlando di «Rattle and hum», film più doppio disco per metà live e per metà inedito. L'opera si apriva, guarda caso, con la cover di «Helter Skelter», pezzo nel quale Paul McCartney alla fine degli anni Sessanta inventava il punk senza saperlo. Tenetevi forte ché dallo «scivolo» si scende giù veloci.
Tears for Fears
Inglesi, molto vicini alle atmosfere della New Wave, i Tears for Fears negli anni Ottanta facevano impazzire le ragazzine e torcere il naso ai rockettari più irriducibili. Nel songwriting del chitarrista-cantante Roland Orzabal e del bassista Curt Smith un pizzico di Beatles non è mai mancato. Lo testimonia bene il ritornello della hit «Sowing the seeds of love». E poi a Knebworth, nel concerto evento che si tenne nel '90 (tra l'altro in scaletta c'era pure Paul McCartney), omaggiarono esplicitamente i Fab Four con una cover di «All you need is love». Non proprio commovente, ma comunque onesta.
Oasis
Con loro entriamo in pieno Brit-pop, movimento in voga a partire dalla metà degli anni Novanta che dai Beatles e dal meraviglioso universo della Swinging London trae la propria linfa vitale. In quei giorni lì, i Fab Four tornano di moda e a un certo punto interviene proprio sir Paul McCartney, dichiarando gli Oasis eredi designati dei Beatles. Chissà cosa ne avrebbe pensato John. Fatto sta che i fratelli Gallagher non fanno economia di cover beatlesiane. «I'm the Walrus», brano psichedelico di John Lennon, è sicuramente una delle più riuscite.
Travis
Tra le avanguardie del rock scozzese sbocciato negli anni Novanta, i Travis amano molto le atmosfere British e di conseguenza i Beatles. Non è un caso se nel 2007, in occasione della ricorrenza del quarantennale di «Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band», siano stati tra i primi a essere invitati dalla Bbc a reinterpretare i classici del capolavoro beatlesiano. Invito azzeccato: i Travis ci hanno regalato infatti una buona versione di «Lovely Rita metermaid». Come? Rispettando la partitura originale neanche fosse musica classica.
Coldplay
Quando alla fine degli anni Novanta i Coldplay debuttano, qualcuno li definisce i nuovi U2. Forse potremmo utilizzare proprio questo anello di trasmissione per raccontare il rapporto con i Beatles di Chris Martin e company: l'approccio alla materia beatlesiana della band londinese sembra infatti mediato dalla lezione di Bono e The Edge. Per fare un esempio, in mano ai Coldplay l'evergreen di George Harrison «Here comes the sun» appare quasi un brano pop concepito nella Dublino degli anni Ottanta. Il che non equivale per forza a un complimento.
Franz Ferdinand
Scozzesi come Travis e Belle and Sebastian, i Franz Ferdinand rappresentano una delle migliori incarnazioni dello spirito rock nel Terzo millennio. Colti, raffinati e orecchiabili quanto basta per farsi valere nelle charts. Di sommo gusto la scelta della loro cover beatlesiana: «It won't be long», un brano non proprio conosciutissimo del secondo album dei Fab Four. In mano a loro si trasforma in pura provocazione punk. Complimenti.
Kaiser Chiefs
I Kaiser Chiefs provengono da Leeds e propongono una curiosa miscela di riff taglienti e trame melodiche orecchiabilissime. Per capire cosa suonano, fa fede la hit «Ruby» cui devono gran parte della loro fortuna. Anche loro quattro anni fa sono stati coinvolti nel progetto del remake di «Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band» voluto dalla Bbc per il quarantennale e se la sono cavata con la mccartneyana «Getting better». La loro versione mette ottimismo. Non quanto l'originale ma questo è un altro discorso.
The Unthanks
Le sorelle Rachel e Becky Unthank rappresentano la massima espressione del nuovo folk britannico. Provengono dalla provincia (dal Northumberland, per la precisione) come le migliori cose che utlimamente si ascoltano in Inghilterra e secondo la critica di madrepatria avranno un futuro radioso. Il loro omaggio ai Beatles passa per una commovente versione di «Sexy Sadie», il brano con il quale Lennon si sbarazzo del Maharishi. Un pezzo che, in mano a loro, acquista una delicatezza sottile e conturbante. Femminile, proprio come la seduttrice Sadie cantata da John.
Da IlSole 24 Ore.com
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