Jamie Cullum: "Questo album è un lusso per il quale noi dovremmo essergli eternamente riconoscenti."
Eccovi la recensione all'album in uscita di Sir Paul McCartney "Kisses on the bottom", fatta da Jamie Cullum, uno dei jazzisti più talentuosi al mondo, in esclusiva per il quotidiano inglese The Guardian.
" I Beatles hanno sempre avuto un debole per il periodo precedente l'avvento dei gruppi rock moderni. E' carino da parte loro, veramente, visto che dagli anni 70 in poi, il genere che loro stessi avevano fatto nascere, aveva fatto diventare nomi del calibro di Frank Sinatra (che in seguito cantò Somehing e Yesterday dei Beatles) dei "dinosauri". Tra le tante cose che li hanno resi unici, i fantasmi di Cole Porter, Fats Waller e Harold Arlen hanno contribuito a dare ai Beatles gli strumenti per sperimentare il genere di struttura e melodia che ha dato origine ad alcuni dei loro più grandi successi.
Il nuovo album di Paul, maliziosamente intitolato "Kisses on the bottom" è un tributo alle canzoni che lui stesso sentiva suonare da suo padre al pianoforte quando era un ragazzo. McCartney amava questo tipo di musica poichè era la musica ascoltata dai suoi genitori, la stessa scelta che molti ragazzi della generazione successiva avrebbero fatto quando avrebbe preso piede la Beatlemania. Si può dire così che si è tornati al punto di partenza. E' difficile immaginare cosa si possa ancora aggiungere agli album standard americano pubblicati di recente e..tra l'eredità del grande cantante melodico e i suoni più recenti di Michael Bublé o l'omaggio di Rod Stewart, dove può trovare il suo posto Sir Paul?
La risposta è nella semplicità di questo album. Solo qualcuno che non ha più niente da dimostrare poteva permettersi di offrirci questo album che non cerca di impressionare qualcuno o di imitare qualche cantante melodico. Egli mostra un immenso rispetto per questa forma d'arte e lo dimostra la sua volontà in questo disco di passare dal ruolo di cantautore/interprete a semplice interprete. E' immediatamente evidente dal brano di apertura, "I'm Gonna Sit Right Down and Write My Self a Letter", dove ci sono alcuni cambiamenti sottili ed efficaci. Le dolci melodie al pianoforte di Diana Krall, il fruscio della batteria di Karriem Riggins e la sontuosità degli archi di Jonny Mandel, hanno un suono familiare e rilassante, ma la voce di Paul suona diversa. La sua voce si concentra sul tono, sull'intonazione e sul tempo, il tutto consegnato con un sussurro che, pur essendo gentile, riempie il suono con la sua ricchezza.
Si tratta di una mossa che ti coglie di sorpresa quando ti rendi conto che McCartney sta esplorando una zona della sua voce che noi, e forse anche lui stesso, non avevamo mai sentito prima. Paul canta con un registro più alto di quanto ci aspettiamo da lui, ma questa scommessa serve per fornire un approccio a questa musica che è dolorosamente onesta. Deve ancora essere ancora inquadrato, ma è più Chet Baker che Sinatra, più Billie Holiday che Bublé. Il cast di supporto all'album, da Diana Krall, dal produttore Tommy LiPuma e dal leggendario ingegnere del suono Al Schmitt offre un paesaggio decisamente di buon gusto a McCartney. Mentre per alcuni può sembrare tutto troppo liscio, io invece mi sono trovato ad applaudire la loro volontà di non avvicinarsi ad una sonorità più robusta di una big band indice che gli arrangiamenti sono ben più complessi. Questo album non è quello di una band del Casinò di Las Vegas. La semplicità del trio pianoforte, chitarra e qualche arco dà all'insieme una forma particolare che non fa che aggiungere altro fascino. Se c'è qualcosa da dire è che McCartney ha preso esempio da Diana Krall, classe, musicalità e modestia. Il repertorio stesso è piacevolmente sorprendente. C'è qualcosa di familiare, ma la maggior parte dei brani sono dei tesori dimenticati. "More i Cannot Wish You", tratto dal musical "Guys and Dolls", che non fu inclusa nella colonna sonora della versione cinematografica, raramente è stata ascoltata al di fuori dei teatri. E 'una canzone incredibilmente moderna che parla di paternità e di tutela e che sotto certi aspetti fa eco a "Hey Jude". "Bye Bye Blackbird" è interpretata molto più lentamente che nella versione originale e a un certo punto ci si chiede come possa cantarla così per tutta la durata della canzone. McCartney resiste alla tentazione di riempire certe battute e di ritornare al ritmo originale e di includere per esempio un assolo di sassofono alla Lester Young. Quando canta "My Very Good Friend The Milkman" ci si ricorda che è lui che ci ha dato "When I'm Sixty Four", "Maxwell's Silver Hammer" e "Honey Pie".
I due brani originali di McCartney si sposano perfettamente con le altre canzoni senza lasciare traccia di inautenticità. "My Valentine", con la collaborazione di Eric Clapton, è una canzone d'amore triste che sembra provenire da uno spettacolo dimenticato di Broadway, mentre l'incredibilmente romantica "Only Our Hearts", con Stevie Wonder all'armonica, mi ha fatto ricontrollare i crediti dell'album per assicurarmi che non fosse Gershwin. McCartney ha detto che parte della gioia di fare i suoi primi due album da solista era che avrebbe rinunciato alla pressione di essere un Beatle e semplicemente godersi la musica. Che sembra proprio quello che sta facendo qui. Anche se alcuni possono essere delusi dalla pura raffinatezza di tutto questo lavoro, l'album suona come una vacanza, un sorriso, una lettera d'amore. Paul McCartney si è crogiolato nella riscoperta di canzoni di alcuni dei più grandi cantautori di tutti i tempi, ha suonato e inciso con alcuni dei migliori del settore. Non è solo un lusso che gli è consentito, ma è soprattutto un lusso per il quale noi dovremmo essergli eternamente riconoscenti."
Da www.guardian.co.uk/music/musicblog/2012/jan/30/paul-mccartney-jamie-cullum?newsfeed=true
" I Beatles hanno sempre avuto un debole per il periodo precedente l'avvento dei gruppi rock moderni. E' carino da parte loro, veramente, visto che dagli anni 70 in poi, il genere che loro stessi avevano fatto nascere, aveva fatto diventare nomi del calibro di Frank Sinatra (che in seguito cantò Somehing e Yesterday dei Beatles) dei "dinosauri". Tra le tante cose che li hanno resi unici, i fantasmi di Cole Porter, Fats Waller e Harold Arlen hanno contribuito a dare ai Beatles gli strumenti per sperimentare il genere di struttura e melodia che ha dato origine ad alcuni dei loro più grandi successi.
Il nuovo album di Paul, maliziosamente intitolato "Kisses on the bottom" è un tributo alle canzoni che lui stesso sentiva suonare da suo padre al pianoforte quando era un ragazzo. McCartney amava questo tipo di musica poichè era la musica ascoltata dai suoi genitori, la stessa scelta che molti ragazzi della generazione successiva avrebbero fatto quando avrebbe preso piede la Beatlemania. Si può dire così che si è tornati al punto di partenza. E' difficile immaginare cosa si possa ancora aggiungere agli album standard americano pubblicati di recente e..tra l'eredità del grande cantante melodico e i suoni più recenti di Michael Bublé o l'omaggio di Rod Stewart, dove può trovare il suo posto Sir Paul?
La risposta è nella semplicità di questo album. Solo qualcuno che non ha più niente da dimostrare poteva permettersi di offrirci questo album che non cerca di impressionare qualcuno o di imitare qualche cantante melodico. Egli mostra un immenso rispetto per questa forma d'arte e lo dimostra la sua volontà in questo disco di passare dal ruolo di cantautore/interprete a semplice interprete. E' immediatamente evidente dal brano di apertura, "I'm Gonna Sit Right Down and Write My Self a Letter", dove ci sono alcuni cambiamenti sottili ed efficaci. Le dolci melodie al pianoforte di Diana Krall, il fruscio della batteria di Karriem Riggins e la sontuosità degli archi di Jonny Mandel, hanno un suono familiare e rilassante, ma la voce di Paul suona diversa. La sua voce si concentra sul tono, sull'intonazione e sul tempo, il tutto consegnato con un sussurro che, pur essendo gentile, riempie il suono con la sua ricchezza.
Si tratta di una mossa che ti coglie di sorpresa quando ti rendi conto che McCartney sta esplorando una zona della sua voce che noi, e forse anche lui stesso, non avevamo mai sentito prima. Paul canta con un registro più alto di quanto ci aspettiamo da lui, ma questa scommessa serve per fornire un approccio a questa musica che è dolorosamente onesta. Deve ancora essere ancora inquadrato, ma è più Chet Baker che Sinatra, più Billie Holiday che Bublé. Il cast di supporto all'album, da Diana Krall, dal produttore Tommy LiPuma e dal leggendario ingegnere del suono Al Schmitt offre un paesaggio decisamente di buon gusto a McCartney. Mentre per alcuni può sembrare tutto troppo liscio, io invece mi sono trovato ad applaudire la loro volontà di non avvicinarsi ad una sonorità più robusta di una big band indice che gli arrangiamenti sono ben più complessi. Questo album non è quello di una band del Casinò di Las Vegas. La semplicità del trio pianoforte, chitarra e qualche arco dà all'insieme una forma particolare che non fa che aggiungere altro fascino. Se c'è qualcosa da dire è che McCartney ha preso esempio da Diana Krall, classe, musicalità e modestia. Il repertorio stesso è piacevolmente sorprendente. C'è qualcosa di familiare, ma la maggior parte dei brani sono dei tesori dimenticati. "More i Cannot Wish You", tratto dal musical "Guys and Dolls", che non fu inclusa nella colonna sonora della versione cinematografica, raramente è stata ascoltata al di fuori dei teatri. E 'una canzone incredibilmente moderna che parla di paternità e di tutela e che sotto certi aspetti fa eco a "Hey Jude". "Bye Bye Blackbird" è interpretata molto più lentamente che nella versione originale e a un certo punto ci si chiede come possa cantarla così per tutta la durata della canzone. McCartney resiste alla tentazione di riempire certe battute e di ritornare al ritmo originale e di includere per esempio un assolo di sassofono alla Lester Young. Quando canta "My Very Good Friend The Milkman" ci si ricorda che è lui che ci ha dato "When I'm Sixty Four", "Maxwell's Silver Hammer" e "Honey Pie".
I due brani originali di McCartney si sposano perfettamente con le altre canzoni senza lasciare traccia di inautenticità. "My Valentine", con la collaborazione di Eric Clapton, è una canzone d'amore triste che sembra provenire da uno spettacolo dimenticato di Broadway, mentre l'incredibilmente romantica "Only Our Hearts", con Stevie Wonder all'armonica, mi ha fatto ricontrollare i crediti dell'album per assicurarmi che non fosse Gershwin. McCartney ha detto che parte della gioia di fare i suoi primi due album da solista era che avrebbe rinunciato alla pressione di essere un Beatle e semplicemente godersi la musica. Che sembra proprio quello che sta facendo qui. Anche se alcuni possono essere delusi dalla pura raffinatezza di tutto questo lavoro, l'album suona come una vacanza, un sorriso, una lettera d'amore. Paul McCartney si è crogiolato nella riscoperta di canzoni di alcuni dei più grandi cantautori di tutti i tempi, ha suonato e inciso con alcuni dei migliori del settore. Non è solo un lusso che gli è consentito, ma è soprattutto un lusso per il quale noi dovremmo essergli eternamente riconoscenti."
Da www.guardian.co.uk/music/musicblog/2012/jan/30/paul-mccartney-jamie-cullum?newsfeed=true
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