Paul McCartney, il "mercante di felicità"
Erano in 17 000 ieri sera ad assistere al primo concerto di Paul McCartney a Montréal dopo più di 20 anni. Un grande spettacolo...
Paul McCartney cantava da più di un'ora, quando i suoi musicisti l'hanno lasciato solo con i suoi 16.993 tifosi che avevano riempito il Centre Bell.
E questo per intonare, accompagnato dalla sua chitarra acustica la sempre bella "And I Love Her ", che era in classifica quando si recò per la prima volta a Montreal con i Beatles, l' 8 settembre 1964, al vecchio Forum. L'esibizione gli è valsa la prima standing ovation della serata. Un attimo dopo, eccolo spiegare di aver scritto una canzone per confortare la gente del sud degli Stati Uniti alle prese con le rivolte razziali degli anni '60. E subito eccolo iniziare le prime note di "Blackbird", della quale non sospettavamo tali origini .
Era chiaramente palese sin dall'inizio della splendida serata: Paul McCartney è "il mercante di felicità" del quale parlava Michel Rivard nella sua canzone. Colui che vi strappa un sorriso, vi fa cantare e battere le mani o versare una lacrima, da soli o insieme a migliaia di persone. Il McCartney del 2010 non è il McCartney del 1989 che si era appena riconciliato con il repertorio dei Beatles. E'un artista di 68 anni ancora molto creativo, del quale anche le più recenti canzoni "Dance Tonight" o anche la meno nota "Highway" trovano naturalmente il loro posto tra le canzoni dei Beatles e degli Wings.
Perché l'altra rivelazione di questo concerto è che le canzoni degli Wings sono diventate dei classici allo stesso modo delle altre canzoni immortali di McCartney. E lui lo sa anche troppo bene, visto che durante la prima parte del concerto di quasi tre ore ci ha proposto molte canzoni degli Wings. Come la ballata "My Love, scritta per Linda e dedicata a tutti i fan al Bell Centre, ma anche brani più rock, come "Letting Go" e "Let Me Roll it" che è terminata con un estratto da "Foxy Lady" trasformando Macca nel chitarrista "Paulo Hendrix".
McCartney non si accontenta di essere l'ambasciatore naturale dei Beatles: la sua versione di "Something" di George con l'ukulele è stata uno dei più grandi momenti del concerto. Egli incarna meglio di chiunque altro un periodo d'oro dove il rock si combinava con l'avventura e la speranza. E lo fa con una spontaneità poco comune, anzi rara, che gli permette di re-iniziare "Sing The changes" dopo un passo falso, senza che suo il fascino ne risenta. E questo fascino naturalmente si manifesta anche con battute e aneddoti più o meno improvvisati, che non fanno che cementare il suo legame con il pubblico.
A un certo punto Paul chiede al pubblico se si sta divertendo. E inizia con la magistrale "A day in the life" che non avremmo mai creduto di poter sentire ancora cantata da un ex-Beatle dopo la morte di Lennon. Il pubblico è letteralmente ipnotizzato, loro che hanno gioito durante "Ob-La-Di, Ob-La-Da" e per "Back in the USSR "pochi minuti prima.
Questa è felicità, vi dico.
Alain de Repentigny
La Presse
Da www.cyberpresse.ca
Commenti
Posta un commento